sabato 6 dicembre 2008

Un anno fa.

Niente sarà più come prima, si diceva e si prometteva il 6 dicembre di un anno fa. Questa volta il cambio di marcia è necessario, si pensava e si proclamava, perché sette operai carbonizzati mentre lavorano non sono un tributo che può considerarsi normale, incidente di percorso del turbo-capitalismo che deve avanzare ad ogni costo. Anche quello del sacrificio umano. Questa volta, si ragionava e si sosteneva pubblicamente, bisogna voltar pagina davvero, perché nella tragedia della linea 5 della Thyssen Krupp di viale Regina Margherita, a Torino, si è reso visibile a tutti che la classe lavoratrice esiste e rischia di morire ogni giorno mentre svolge onestamente il suo lavoro. Del resto, i volti inceneriti dei sopravvissuti, le lacrime dei familiari, la consistenza dell'incidente, l'atteggiamento reticente dell'azienda tedesca: tutto rendeva impossibile proseguire come sempre, come prima della notte fra il 5 e il 6 dicembre del 2007. Dunque tutto lasciava credere che il cambiamento fosse possibile. Ma la memoria, che pure non si può asportare, in questo paese dura lo spazio di un funerale e di qualche strumentalizzazione politica, il tempo di un intervento di qualche esponente di partito, magari anche sentito e sincero, e di qualche strillato "ora basta". Dopo un anno, infatti, non molto è cambiato nel mondo del lavoro sul fronte sicurezza. Il contatore degli omicidi bianchi prosegue inarrestabile, morto dopo morto, con una media quotidiana di circa 3,86 lavoratori. Non c'è giornata che dal sud al nord di questo paese non arrivi la notizia di un caduto sul campo dell'occupazione: agricoltori schiacciati dal trattore, muratori scivolati da un ponteggio, operai feriti da una pressa. Tanti modi per morire, tutti durante un'unica impresa, quella di lavorare.

Eppure in questo stagnare gattopardesco qualcosa si è mosso, qualcosa è cambiato. La giustizia ha fatto il suo corso, almeno fino ad oggi, in modo celere e preciso. Lo si deve all'attività dei pm Raffaele Guariniello, Laura Longo e Francesca Traverso, i quali hanno studiato, raccolto materiale e testimonianze, producendo duecentomila pagine di documentazione sistemate in tredici faldoni. La base su cui hanno strutturato la loro accusa riuscendo a portare sul banco degli imputati l'ad dell'azienda Herald Espenhahm, oltre ai vertici italiani del colosso dell'acciaio tedesco, cioè Giuseppe Salerno, Marco Pucci, Daniele Moroni e Cosimo Cafueri. Come deciso il 17 novembre dal gup di Torino Francesco Gianfrotta saranno processati dalla metà di gennaio in Corte d'Assise, di fronte ad una giuria sia togata che popolare. Caso unico nella storia della giustizia italiana, almeno sul fronte degli incidenti sul lavoro, saranno giudicati per omicidio volontario l'ad Espenhahm, per omissione volontaria di cautele e omicidio colposo con colpa cosciente le altre teste dell'azienda. Non varrà più l'abili del non sapevo, non ero a conoscenza, perché si fa spazio e strada il principio che la morte sul lavoro non può essere considerata una fatalità, quanto il frutto conseguente e avvelenato di una disattenzione, consapevole e imputabile, verso l'applicazione delle misure anti infortunistiche. Gli estintori della linea 5 di viale Regina Margherita, infatti, non erano carichi quella notte. E da tempo lo stabilimento torinese, in vista della chiusura prevista questa estate, non era più oggetto di investimento e ammodernamento in merito alle misure di sicurezza. Dismesso, dal punto di vista delle strutture ma anche del numero dei lavoratori impiegati, il polo di Torino continuava a produrre grazie all'intensa attività di straordinario, da sempre causa della crescita esponenziale del rischio. I dipendenti erano passati da 380 a 270, mentre le mansioni venivano ricombinate e mancavano diverse figure professionali. I dirigenti sapevano qual era la situazione e non hanno fatto nulla per evitare che ne scaturisse la tragedia che si è verificata. Come dimostrato dall'inchiesta, le visite dell'Asl e degli ispettori Spresal erano avvisate preventivamente, tanto che sul caso è aperta una indagine collaterale. Non solo si sapeva, dunque, ma si tentava di occultare.

Ora c'è un processo che partirà il 15 gennaio, 46 operai costituiti parte civile insieme al sindacato e alle amministrazioni locali. C'è anche stato, però, il tentativo -in parte riuscito- di dare una buona uscita ai dipendenti in cambio della rinuncia a costituirsi parte civile (una clausola inserita negli accordi di licenziamento prima che avvenisse il rogo che ha provocato l'amarezza di diversi lavoratori verso il sindacato). C'è un'associazione, "Legami d'acciaio", che lotta per avere giustizia e diffondere la cultura della sicurezza: è organizzata dai compagni sopravvissuti che non si arrendono e non trovano pace per quanto accaduto, per una tragedia che li ha sfiorati e, in alcuni casi, risparmiati per una casualità. Tanti documentari, da quello della Comencini a Segre, tanti libri, da Novelli a Pagliarini, tante inchieste mediatiche da parte di varie testate. C'è un settore del Parco Carrara che, ha promesso il sindaco Chiamparino, verrà dedicato a Antonio Schiavone, Roberto Scola, Angelo Laurino, Bruno Santino, Rocco Marzo, Giuseppe Demasi, Rosario Rodinò. E c'è soprattutto un tentativo in atto da parte del governo di erodere e sterilizzare, pezzettino dopo pezzettino, quel Testo Unico sulla sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro che si è contraddistinto come una delle pagine migliori della breve legislatura del centrosinistra. Circola già, stando a quanto rivelato oggi da Il manifesto, un documento firmato dalle associazioni imprenditoriali in cui si avanzano cambiamenti alla legge, che il ministro del Welfare Sacconi, a poche ore dalla vittoria elettorale di aprile, già faceva sapere di voler modificare. Sanzioni più leggere, dal punto di vista amministrativo-pecuniario e penale, perché l'impianto sanzonatorio è ritenuto "oltremodo repressivo"; l'esclusione delle Pmi dall'applicazione di sanzioni pecuniarie "incompatibili con la vita di una piccola e media impresa"; sospensione dall'attività da parte dell'azienda solo in casi di "incombente pericolo"; introduzione della "presunzione di conformità alle norme di prevenzione" per le realtà che adottano norme tecniche e buone prassi, cioè carta bianca agli imprenditori; più spazio agli enti bilaterali; applicabilità della legge non a tutti i lavoratori, come prevede il Testo unico, bensì esclusione "di lavoratori somministrati e a tempo determinato"; cancellazione della responsabilità del datore di lavoro su tutta la catena degli appalti, eccezion fatta per quelli "di una certa consistenza"; impossibilità che siano presenti rappresentanti per la sicurezza insieme agli rsu. E' questo quello che propongono al governo Confindustria&Co. ed è questo ciò che esso si appresta, zelantemente, ad eseguire: l'azzeramento della legge. Perchè le lacrime sono tollerate a ridosso della tragedia, ma poi diventano soltanto altri "lacci e lacciuli" per il mercato che, si sà, deve produrre ad ogni costo, ad ogni prezzo, ad ogni morte.

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